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martedì 28 novembre 2017

Allah faccia!

Secondo post sulla mia esperienza cinese. Sono riuscito a ritagliarmi una giornata libera dai miei impegni lavorativi e ho optato per visitare il Quartiere Musulmano di Xi'an. Ebbene sì, Xi'an ha una popolazione musulmana di 50.000 abitanti. Sembra poco in confronto al numero di persone in totale residenti a Xi'an (8/9 milioni), ma stiamo comunque parlando di una popolazione due volte quella della mia città natale.

Questo mi riporta alla mente quel giorno in cui un cinese mi chiese se la mia città di provenienza fosse grande e io risposi che nella mia città abitavano 25.000 persone. Le sue risate al sentire il termine città associato a 25.000 persone. Un errore che non commetterò mai più.

Comunque, quartiere molto colorato, a volte anche un po' smaccatamente turistico devo dire, ma niente di intollerabile. Bisogna trovare gli angoli giusti. Qui sotto foto delle zone "colorate".



Non stavo cercando di fotografare il bidone dell'immondizia nel dettaglio, giuro

Qui si trovano molti diversi tipi di cibo tipico cinese/musulmano. Ho optato per un frutto giallo strano che fortunatamente è risultato più che mangiabile. In seguito ho mangiato una polpetta di fagioli dolci, poi volevo mangiare anche un polpo fritto, ma il colore rosso fuoco mi ha fatto temere fosse piccante (anche detto 辣 "la"), quindi ho desistito. Poi ho bevuto succo di melograno...


Minuto 2.04. "Ma che cosa c***o me ne frega di cosa avete bevuto??"

Ok. Ok. Proseguiamo.

Come dicevo, bisogna trovare gli angoli giusti. Il passaggio che porta alla moschea è uno di questi.


E poi c'è proprio la Grande Moschea e il suo vastissimo giardino, da perdercisi.







In quest'ultima foto si può notare la differenza fra il cinese moderno (a sinistra, più piccolo) ed il cinese antico (a destra, più grande). Questa lingua, questa cultura, hanno 5000 anni di storia e questo pezzo di legno, verosimilmente posto qui durante la costruzione della Moschea, ha circa 1500 anni. Un viaggio nel tempo insomma.



Dio come passa il tempo!

La compagnia di viaggio prevedeva anche una mia amica egiziana che è entrata in moschea a pregare. Portare un'egiziana a pregare in una moschea in Cina. Checked on my list! Nelle sue preghiere magari avrà inserito un ringraziamento speciale per l'occasione unica che le è capitata.

Dal canto mio, il mio modo di ringraziare per i posti che riesco a visitare lo conoscete, è sempre lo stesso :)




Il secondo video è stato girato nei pressi della Bell Tower, anche detta Torre del Campanile. Qualcuno si è fermato a fare un video, pure i poliziotti lì stazionati sembravano interessati alla performance. Incoraggiante :)

Alla prossima! Chamampi sikuri!


lunedì 13 novembre 2017

Flor de Cactus (Tutorial)



ARKA: --5----33--4--
IRA:      5--44----3--4

ARKA: 33---2--3--3---4
IRA:      ---2------3--3--4

ARKA: 2-3-2-3
IRA:      -2-3-2-   *repique

ARKA: --5----33--4--
IRA:      5--44----3--4

ARKA: 33---2--3--3---4
IRA:      ---2------3--3--4

ARKA: 2-3-2-3
IRA:      -2-3-2-   *repique

ARKA: 33345-----------55----6-
IRA:      -------4445654-----5---6

ARKA: 3-3-3-3
IRA:      -4-4-4-   *repique

ARKA: 33345-----------55----6-
IRA:      -------4445654-----5---6

ARKA: 3----23
IRA:      --2---

ARKA: -----55----6-
IRA:      54-----5----6

ARKA: 3----23
IRA:      --2---

ARKA: -----55----6-
IRA:      54-----5----6


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Flor de cactus

Muchachita flor de cactus
pedacito de mi corazón
tu vas tejiendo aquel romance
de nuestro cariño.
Flor de cactus, ilusión de amores.

Con tu inmensa cabellera
destrenzada cual un arrebol
el atractivo de tu carita
es una acuarela.
Flor de cactus
Lienzo de hermosura.

En tus labios quiero estampar
beso ardiente lleno de pasión
como un recuerdo de mi cariño
que nace del alma.
Flor de cactus
ilusión primera.

Cuando agitas tus cabellos
destrozando las brisas de amor
son cual retazos que van flameando
dentro de mi pecho.
Flor de cactus
Ilusión de amores.

Fiore di cactus

Ragazza fiore di cactus
Pezzetto del mio cuore
Stai tessendo quel romanzo
del nostro sentimento
Fiore di castus, illusione d'amore

Con la tua folta chioma
sciolta come le nubi rosse nel cielo
la bellezza del tuo viso
è come un acquerello.
Fiore di cactus
Bellezza su tela

Sulle tue labbra voglio stampare
un bacio ardente pieno di passione
come un ricordo del mio sentimento
che nasce dall'anima.
Fiore di cactus
Prima illusione

Quando agiti i tuoi capelli
Sciogliendo le brezze dell'amore
son ritagli di stoffa che si infiammano
dentro al mio petto.
Fiore di cactus
Illusione d'amore

Tema originario della provincia di Moho, Puno. Testo di Gaspar Aguirre Flores. L'origine della musica è meno chiaro, potrebbe essere opera di Waldo Calderón Pacoricona (Wayna Titicaca de Conima) o di Javier Mantilla (Los Huaycheños, Puerto Acosta, Bolivia)*. Come è facile intuire dal testo, il tema è l'amore disilluso. La passione, il sentimento di un amore appena nato ed il trasporto incondizionato che ne scaturisce.

---

*Fonte: http://aylluastur.blogspot.jp/2009/09/la-historia-de-flor-de-kactus.html

lunedì 23 ottobre 2017

Jaka piękna Polska!

Altro post, altro giro, altro Paese: la Polonia.

Annus domini MMXIV... aehm, scusate, Italia e Polonia, due paesi cattolici. Mi son fatto prendere la mano.

Dicevo appunto anno 2014 passato d'istanza a Berlino, che non ci si fa un salto in Polonia? È sempre stato un Paese che ti ha incuriosito. Un po' per la sua storia, un po' perchè trovi polacchi dappertutto e spesso diventano tuoi przyjaciel (= amico), un po' perchè minchia, la vodka. Ma sì, andiamoci!

I primi incontri ravvicinati con la Polonia a Dublino, in Erasmus. Mateusz compagno di stanza e Daniel nella stanza accanto. Cracovia la città del primo, Poznan la città del secondo. Eh e allora che città dovrei visitare quindi? Cracovia e Poznan, appunto.



Un Polskibus chiamato desiderio

Biglietto Polskibus Berlino -> Cracovia prenotato per un pugno di złoty e si parte all'avventura. Si passa il confine e il welcome to Poland è una bella strada dissestata che fa venir su il panettone di Natale '95. Dopo mesi di perfezionismo tedesco, finalmente un po' di romantica strada scassata da sentirsi sulle montagne russe. Ci piace!

A Cracovia mi riunisco con Daniel, anche lui venuto per l'occasione e con Mateusz, autodefinitosi in italiano con accento alla SuperMario "polacco pazzo". Mi spiega la storia della Cattedrale, di come i due campanili furono costruiti da fratelli in competizione, per questo un campanile è più alto dell'altro.


Oltre i confini del campanilismo su Rieduchescional Ciannel

Mi racconta anche di come una guardia della torre della Cattedrale suoni una melodia che si interrompe nello stesso momento in cui secoli prima si interruppe la melodia che segnalava l'arrivo dei Tartari, proprio perchè la povera guardia intenta a segnalare il suddetto arrivo con squilli di tromba, fu colpita da una freccia. È una città che brulica di folclore come ne ho conosciute poche.

Altra cosa da dire, a Cracovia credono molto nel Signore, ma c'è anche un altro signore che è omnipresente.



A Cracovia c'è sempre un Wojtyla che ti osserva

Se sbaglio mi corigerete, vai tranquillo Karol che ormai sei italianissimo

Il trionfo dell'italianità, combo micidiale! FELICITAAAA'! ♫

Da lì si va a visitare il Castello di Wavel e si fa tappa dalla Dama con l'ermellino. Poi si fa qualche passeggiata approfittando del bel tempo, perchè le città bisogna sì visitarle, ma anche respirarle un po'. Girovagare senza meta, perdersi.

Duzo słonca

Quello che però mi ha colpito di più è il Quartiere ebraico, qui comincia a sentirsi il peso della triste eredità della Seconda Guerra Mondiale, si avverte nell'aria la tragedia, l'odio, la paura che hanno caratterizzato queste zone.

Stele commemorativa per i 65mila ebrei di Cracovia che persero la vita durante l'invasione tedesca

Questo è il punto di svolta del viaggio, dalle uscite in discoteca (actually not my piece of cake) e i vari shottini di vodka tuttifrutti, si passa alla Polonia che in realtà, mi affascina di più, ovvero quella che convive con lo spettro di ciò che le è stato portato via e che comunque, malgrado i disegni del nazismo (Lebensraum), resiste ed esiste, stoica e senza paura di esibire le sue cicatrici.

Il passaggio alla volta della fabbrica di Schindler

La fabbrica di Schindler è stata per me un'esperienza quasi paranormale, nel senso che si fa fatica a credere a tanta crudeltà messa in atto dai nazisti. Avevo visitato i musei tedeschi sul nazismo, dove però l'argomento, anche un po' per il loro ovvio poco andarne fieri oltre per la forte inclinazione a "catalogare" un po' tutto dei tedeschi, era sempre trattato più da un punto di vista storico e oggettivo.

Bene, in Polonia no. Questo museo racconta di fatti accaduti, ma ciò che qui è oggettivo non è riportato in maniera neutrale, ma enfatizzato, brutalizzato, assolutizzato per risaltarne l'aspetto disumanizzante. Per metterla su un punto di vista visuale, se nei musei tedeschi vedi le statistiche dell'Olocausto, le foto e quant'altro, qui sei dentro il ghetto. Ti hanno messo le mura intorno e TU sei dentro il ghetto. Sui muri le testimonianze di chi ci ha vissuto. Non stai leggendo il catalogo dell'Olocausto, piuttosto ti senti come un topo che si nasconde dal gatto. 

Immaginate l'umiliazione di vedere la vostra città tappezzata di bandiere naziste

Soldati nazisti che tagliano la barba ai rabbini

Dentro al ghetto

Proprio su quest'ultima foto vorrei soffermarmi per lasciare qualche testimonianza su questo spazio. Immaginate di camminare dentro al ghetto e di leggere queste testimonianze, con i muri tirati su a forma di lapide, come fecero i nazisti. 


"Nell'Aprile del 1941 quando gli ebrei celebravano la Pasqua, una festa in celebrazione dell'esodo dall'Egitto, i muratori hanno cominciato a costruire un muro attorno al ghetto.

I nostri aguzzini hanno tirato su un muro fatto di lapidi. Hanno usato questo simbolo in modo da rendere il ghetto una tomba laddove vivono migliaia di esseri umani discriminati." (dr. Julian Aleksandrowicz)

"Ania ogni tanto riusciva a prendere del latte, formaggio, uova... i prodotti dei quali cominciavamo a dimenticare l'esistenza. Ania non diceva mai come riuscisse a passare dall'altra parte del ghetto, oltre i tedeschi armati e i soldati ebrei e polacchi. Sapevamo che cosa sarebbe successo a quelli che scappavano per smerciare cibarie. Eppure Ania rispondeva: come si possono tirare su i bambini senza nemmeno un bicchiere di latte?" (Miriam Akawia, 13 anni)

"Che contrasto! In alcuni appartamenti del ghetto: le preghiere, i pianti e i lamenti degli orfani... e attraverso il muro, dall'altra parte: la musica, la vodka, le intemperanze senza freni. 'Sarà il nostro turno fra poche ore', pensavano i partecipanti. I nazisti ci trascineranno fuori al miglio Optima. Lasciamo almeno che ci portino fuori storditi dall'alcol, con il senso di avere almeno soddisfatto i nostri istinti di base. Cosa possiamo raggiungere con le nostre mani? Cosa possiamo fare per contrastare questo mare di odio?" (dr. Julian Aleksandrowicz)

"Non era facile dire - scappate dall'evacuazione! E come avresti potuto superare il filo spinato e i poliziotti a guardia? Come avresti potuto fare anche un solo passo in una strada qualsiasi? Una volta notata la fascia al braccio, avresti una pallottola in testa. Lasciare la fascia? Una volta visto quel simbolo bianco scivolare giù dal tuo braccio, ti porterebbero direttamente alla polizia. Anche se ti nascondessi nel più buio dei nascondigli, qualcuno vedrebbe sempre l'ebreo nascondersi e uscirne da... da come? beh, chi? Anche se lasciassi cadere la tua fascia 100 volte, saresti sempre te stesso. Saresti comunque un ebreo, anche senza banda al braccio. La tua ebraicità verrebbe fuori ad ogni tua mossa ansiosa, ad ogni tuo passo incerto, ogni volta che ti pieghi sulla schiena, come se fossi schiacciato dal giogo della schiavitù, della tua prigionia, ogni volta che ti guardi attorno con quello sguardo da animale battuto. Sarebbe evidente dalla tua figura, la tua faccia, i tuoi occhi, tutti marchiati con il timbro del ghetto." (Gusta Dränger, insegnante, combattente della Żydowska Organizacja Bojowa)


Quest'ultima testimonianza, per lucidità e freddezza, è quella che mi scombussola più l'anima.

Non ho visitato Auschwitz anche se in realtà sarebbe stato alla portata quanto a distanza. Un po' per il fatto che ero andato in Polonia a trovare amici, e fare tutto il giro dell'Olocausto non è il modo migliore per goderti la loro compagnia in maniera spensierata; un po' perché certe cose basta saperle nella portata in cui ti sono state raccontate, non c'è bisogno di andare a sbatterci il muso. Forse mi intimorisce pensare che potrebbero anche essere peggiori di come me le immagino. 

In Polonia il tema rispetto ad altri paesi è trattato molto più crudelmente, come a voler esibire la cicatrice affinché tutti la possano vedere. Non per vittimismo, non per pietismo, ma per memoria. La memoria di chi non dimentica cosa l'uomo può diventare quando perde la ragione e si tramuta in cacciatore o preda di altri uomini. In ambi i casi non più un uomo, e qui citare Primo Levi è tanto ovvio quanto fondamentale.


È molto difficile parlare del resto del viaggio dopo una così lunga, e doverosa, parentesi sulla storia della Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale, e non comincio nemmeno a parlare di ciò che venne dopo (Russi, aehm, *coff* *coff*). La Polonia ovviamente non è solo questo. 

La Polonia è la gente amichevole, le stradine acciottolate di Cracovia, Wisława Szymborska, le chiese dappertutto, i vari gruppi rock quali Dzem, Republika, Kult, i pierogi, la loro lingua difficilissima e per questo intrigantissima... perchè la Polonia è così: impenetrabile e distaccata all'inizio, quanto calda e accogliente quando impara a conoscerti. 

E qui qualche ricordo dolce che lega più aspetti qui sopra citati riaffiora. Dopo Cracovia, capitolo Poznan. Il tempo stringe, solo un giorno a disposizione. Si arriva a Poznan e si va subito a bere qualcosa dagli amici di Daniel, d'altronde piwo to moje paliwo dicono i polacchi, ovvero "la birra è il mio carburante". 

Avendo qualche amico polacco qui e lì qualche parolina l'ho imparata, a parte il fatto che ho tartassato Daniel chiedendo di tradurmi ogni cosa vedessi in giro che nemmanco un bambino di tre anni col suo babbo. Cena dagli amici di Daniel si diceva, io l'unico straniero, ce ne sono pochi da queste parti. Corpo estraneo al gruppo, la prima domanda non può che essere: "Czy mówi Pan po polsku?" ovvero se parlassi polacco.

Non me lo faccio chiedere due volte.

Risposta: "Tak tak, naturalnie, jablko i gruszka wszystkiego najlepszego..."

Nella fattispecie qualcosa del tipo: "Sì sì, certo, mela e pera, buon compleanno..." e altre belinate random in polacco con accento alla Renzi quando parla inglese a fare massa.

Qui i polacchi presenti non si trattengono e si rotolano a terra dal ridere. Mi offrono birra, cibo (e canne, ma non fumo) come se avessi recitato la Szymborska a memoria su un piede solo.

E così mi sento quando incontro un polacco, cosa statisticamente probabile al 99% in ogni parte del mondo. Ho appena conosciuto una polacca a Xi'An, in Cina. Capito? Sono anche in Cina. Da quel punto di vista ci assomigliano a noi Italiani.

E quando conosco un polacco so già come esordire la conversazione...

"...tak tak, naturalnie, jablko i gruszka wszystkiego najlepszego..."



Chiudo questo post, molto lungo e ciònonostante incompleto, con un po' di buona musica polacca. Alla prossima and stay tuned! Dovicenia!




P.s. Aneddoto extra, sono a Bergamo con mio padre. Un prete ci avvicina e comincia a parlarci, scopro che è polacco. Allora lo saluto con un bel "moze bok pomoci" (forse Dio ci aiuterà). Per la reazione vedere sopra, anche lui a sbellicarsi. The power of languages.

Chamampi sikuri!

lunedì 9 ottobre 2017

La Cina è vicina

E dopo due mesi circa torno a scrivere sul blog. Qualcosa bolliva in pentola e quel qualcosa era il mio viaggio in Cina. D'altronde avevo sentito molto parlare di questo posto e mi sono così deciso ad improvvisarmi il Marco Polo del Terzo Millennio. D'altronde se vivesse al giorno d'oggi magari invece del Milione scriverebbe un blog anche lui, per praticità più che altro.

Da lui ad esempio ne avevo sentito parlare moltissimo di questa famosa Cina

E quindi eccomi qua a Xi'an, dove insegno Italiano e Inglese ai Cinesi. Avendo lasciato il mio precedente lavoro per diventare insegnante, mi sento ripagato del rischio intrapreso. Certo è difficile fargli entrare in testa che esiste la lettera eRRe nell'alfabeto italiano, ma l'abnegazione di questi giovani studenti è ammirevole.

A parte la simpatia che questi ragazzi mi suscitano per il semplice fatto che si interessano alla cultura italiana, ma assegnare loro un esercizio che prevede l'ascolto di Jovanotti e vederli battere il piedino a tempo è roba da pianto di commozione. Senza contare i regali che mi hanno fatto per la festa del maestro.

Regalo di Alessio, studente del mio corso di italiano. Scritto a mano. A quanto ho capito è un passo dell'I Ching, il seguente: "La Terra porta ogni cosa, buona e cattiva, senza eccezioni."

Regalo di Amy, 6 anni. Una delle mie studentesse d'inglese. Mosaico a tema Frozen.

Per il resto che dire, ho finalmente un appartamento mio. Ciò ha comportato che io scomodassi il tuttofare della scuola che parlandomi solo in cinese mandarino stretto mi ha scarrozzato per tutta Xi'an a comprare l'occorrente per il trasloco, quindi materassi, lenzuola, cuscini, appendini e via discorrendo. Ancora oggi ho postumi di quella giornata, mal di testa e labirintite, come delle mie peggiori sbronze. Di quelle sbronze però che racconti volentieri.

Da mesi ho celato il mio approfondito studio della lingua cinese. Sono riuscito a raggiungere un accettabile A2 in pochi mesi, ma in compenso piano piano questa lingua mi ha conquistato. Non tanto il parlato ma lo scritto, aveva ragione il professore di Benigni nel film "Il Mostro": "Il Cinese è una filosofia, un modo di essere".

Minuto 2.38: la mia reazione quando i tassisti mi fanno domande che esulano dal "Di dove sei? Che lavoro fai? Ti piace Xi'An?" e compagnia cantante

Gli esercizi di scrittura portano via ore, ma è davvero come dipingere un quadro e leggere un libro allo stesso tempo. È attraverso la scrittura che si capisce la cultura cinese e i suoi 5000 anni di storia. Qualche esempio.

La parola buono si traduce in 好 (hao3). Il radicale 女 (nü3) si unisce a 子 (zi3). Singolarmente significano rispettivamente "donna" e "figlio", insieme assumono il significato di "buono". 

Questo però è proprio basico, spingiamoci oltre.

Altro esempio, ancora più visuale è la parola "cuocere a vapore", che si traduce in 蒸 (zheng1). Ebbene si parte dal basso con il simbolo del fuoco (), si procede verso l'alto con il simbolo dell'acqua (水) e ancora più su il simbolo dell'erba (). Io già mi immagino cinesi che da millenni accendono il fuoco che bolle l'acqua con dentro dei vegetali per la zuppa. Trascendente nel tempo.

Questo aspetto è ciò che rende speciale l'apprendimento della lingua cinese al cospetto di qualsiasi lingua europea. Ho imparato il tedesco, lo spagnolo, l'inglese, un po' di francese, ma il cinese è semplicemente diverso. Amo le sfide culturali perché ne esci sempre arricchito, è fatale.

Dopodiché mi conoscete, qualsiasi lingua vale la pena di essere imparata perché qualsiasi lingua si porta dietro la sua cultura e la sua storia.

So far so good insomma. Presto nuovi aggiornamenti con altri mirabolanti racconti che ho tralasciato per evitare di mettere troppa carne al fuoco. E poi chissà, magari potrò inaugurare la pubblicazione dei miei primi video musicali girati in Cina!

Chamampi sikuri!

lunedì 14 agosto 2017

Alla ricerca di Amélie

Per chi è appassionato di cinema come il sottoscritto, Amélie rappresenta quell'ideale di film romantico che mischia fantasia e realtà. Così è passare per i luoghi del film a Parigi: mischiare fantasia e realtà, appunto.

Molti luoghi del film si trovano a Montmartre, si scende quindi alla fermata Abbesses, dove Amélie incontra per la prima volta il senzatetto cieco, che sarà poi con lei protagonista di una delle scene più intense del film, quella dove Amélie gli racconta il mondo intorno a lui portandoselo a braccetto per le strade di Parigi.

Da lì poi si va su in salita per arrivare alla Chiesa del Sacro Cuore. Qui il livello di emozione sale, come si salgono i tanti scalini, molto più faticosamente di quanto Nino non riesca a fare correndo nel film.

Però l'ambiente ti cattura... la giostra, la chiesa, il parco. Hai visto quel film per anni e ora sei lì, sembra che il tempo non sia passato (e invece sono passati 15 anni, sigh!).


"Quand le doigt montre le ciel, l'imbécile regarde le doigt."
"Quando il dito indica il cielo, l'imbecille guarda il dito"

Inoltrandosi poi nel quartiere di Montmartre, in Rue de trois frères (n.56), ecco un'altra chicca, il negozio del fruttivendolo Collignon, che si diverte a maltrattare il suo aiutante Lucien. Se in francese Collignon è un tête à gnons, all'italiana maniera è un gran buffon.

Au marche de la butte

Ha dimenticato di dirgli quella del carciofo ma se l'è cavata comunque bene

Il negozietto è ben tenuto. Si trovano cartoline del film ma non comprateci nient'altro, costa come il fuoco. Ah, dimenticavo che a Parigi tutto costa come il fuoco. Forget it.

Infine, in Rue de Lepic (n.15), il centro nevralgico del film, il set: il Café des 2 Moulins. Qui, il mito diventa realtà.


Il locale è stato rinnovato un po' e la calca di gente al suo interno fa sembrare l'ambiente più piccolo rispetto al film, ma qui c'è la vera chicca: nel bagno troverete tutte le foto del nanetto viaggiatore che Amélie aveva saggiamente affidato a una sua amica hostess per spronare suo padre a viaggiare e abbandonare il dolore della scomparsa della moglie.

Il personale è un po' preso dalla frenesia ma se non altro il servizio è appunto veloce. Imperativo categorico assoluto: provare la crème brulée. Non dimenticatevi di rompere la crosta con la punta del cucchiaino prima di ingozzarvi!

Ve lo prometto, non metterò altre volte foto del cibo come su un profilo Instagram qualsiasi

Una menzione d'onore la meritano il Pont des Arts, vicino al Museo del Louvre, dove Amélie passeggia dopo aver cambiato la vita del signor Bredoteau (e non Bretodeau) e la Cattedrale di Notre-Dame, dove perde sua mamma a causa di una turista canadese suicida. Parlando però del Louvre e di Notre-Dame, vi sarà sicuramente più semplice localizzare questi posti.

A Montmartre invece seguire il percorso di Amélie è decisamente più intrigante, inoltre l'ambiente di Montmartre è quello che definirei più tipico del film oltre ad essere quello più vicino allo stereotipo che lo straniero ha di Parigi. Per questo ho scelto questo quartiere per rendere il mio tributo al film e alla città, adattando uno strumento andino a nuove sonorità, più tipiche dello chansonnier francese. Avete presente Yann Tiersen? Ecco, quelle sonorità. :)




Mi si perdonino le esitazioni durante l'esecuzione, ma l'emozione e suonare di fronte a perfetti sconosciuti importunati al fine di registrare il video hanno fatto il resto :)

"È il 28 settembre 1997 e sono le undici in punto del mattino. Alla Giostra del Trono, a due passi dal trenino dei Carpazi, la macchina per impastare i dolci impasta i dolci. Nello stesso momento, su una panchina di Place Villette, Félix L'Herbier scopre che ci sono più connessioni possibili nel cervello umano che atomi nell'universo. Nel frattempo, ai piedi del Sacre-Coeur, delle benedettine migliorano il rovescio. La temperatura è di 24 gradi Celsius, il tasso di umidità di 77, e la pressione atmosferica di 990 ettopascal. "

Grazie per la lettura e alla prossima! Chamampi sikuri!

lunedì 7 agosto 2017

Uka jach'a uru - El gran día está llegando (Tutorial)



ARKA: -3332-33-4----54443-55-6
IRA:      4----2--3-444-------4--5-6

ARKA: 3-3-3-3
IRA:      -4-4-4   *repique

ARKA: -3332-33-4----54443-55-6
IRA:      4----2--3-444-------4--5-6

ARKA: 3-3-3-3
IRA:      -4-4-4   *repique

ARKA: -6-6-5----54443-55-6
IRA:      6-5-5-444------4--5-6

ARKA: 3-3-3-3
IRA:      -4-4-4   *repique

ARKA: -6-6-5----54443-55-6
IRA:      6-5-5-444------4--5-6

ARKA: 332-3-----54443-55-6
IRA:      ---3-3444------4--5-6  x2

No tienes un siku? Inténtalo con el simulador!

Simulatore di Siku



Aymara

Uka jacha uru jutaskiway
amuya sipxañani jutaskiway,
uka jacha uru jutaskiway
amuya sipxañani jutaskiway.

Taspacha llakinacasti
amuya sipxañani tukusiniu,
taspacha llakinacasti
amuya sipxañani tukusiniu.

Tatanas mamanaka
uka jacha uru jutaskiway,
tatanas mamanaka
amuya sipxañani jutaskiway.

Español

Ese gran día está llegando
recordémoslo, está llegando,
ese gran día está llegando
recordémoslo, está llegando.

Debemos estar unidos
para acabar nuestra miseria y dolor,
debemos estar unidos
para acabar nuestra miseria y dolor.

Padres e hijos,
ese gran día está llegando,
padres e hijos,

recordémoslo, está llegando

Italiano

Quel gran giorno sta arrivando
ricordiamocene, sta arrivando
quel gran giorno sta arrivando
ricordiamocene, sta arrivando

Dobbiamo rimanere uniti
per mettere fine alla nostra miseria e al nostro dolore,
dobbiamo rimanere uniti
per mettere fine alla nostra miseria e al nostro dolore.

Padri e figli,
quel gran giorno sta arrivando,
padri e figli,
ricordiamocene, sta arrivando

Il grande giorno (Jach'a uru) inteso dal mondo andino come speranza riposta nel futuro. Un futuro senza sofferenza nè miseria. Il giorno della liberazione delle nazioni indigene d'America. Sebbene il termine sia in lingua Aymara, il concetto trascende nazionalità e lingue al fine di diventare una bandiera coscentizzante. La melodia è stata creata dal compositore boliviano Mario Gutiérrez, mentre il testo originale pare risalga a un vecchio canto raccolto in "Primer nueva corónica y buen gobierno" di Guamán Poma*, lettere inviate al Re di Spagna che descrivevano la pessima condizione in cui versava la popolazione indigena dell'attuale Perù nel XVI secolo.
_____

* Fonte: http://apumarka.blogspot.it/2011/08/jacha-uru.html


sabato 22 luglio 2017

Where the hell is Gab?

Giusto per dare un po' più di background a questo blog, eccovi un video che mi ha ispirato a intraprendere il progetto di raccontare i miei viaggi.



Questo tizio, tale Matt Harding, ha girato 3 o 4 video del genere. Ogni video comprende decine e decine di posti nei quali è stato.

Ora quello che mi ha sempre incuriosito di questi video, oltre a quanti soldi devi avere e che lavoro devi fare per permetterti di girare tutto il mondo (sigh), è stato il gioco fra persone, luoghi e musica.

Persone diverse, luoghi diversi e musica a creare quell'equilibrio universale; la lingua che tutti riusciamo a capire. Per 3 minuti il mondo sembra un posto perfetto, le differenze azzerate, anzi valorizzate. Con i tempi che corrono non è cosa facile da realizzare.

La prima volta che ascoltai il sikuri era a una festa di compleanno in Germania, a suonarlo c'era il mio futuro maestro. Parte "El condor pasa", un peruviano al flauto, un dominicano alla chitarra. Ricordo che il tempo sembrava sospeso e l'unica cosa che avevo per la testa oltre a quella bellissima melodia, era l'idea di imparare a suonare il sikuri anche io.

Quella melodia, quello strumento, la cosmovisione andina che lo accompagna, il suono della Pachamama (Madre Terra), rendevano ogni suonata un omaggio alla stessa, o forse un omaggio suo a noi.

Da lì, vista la mia passione dei viaggi, è nata l'idea di "omaggiare" la Pachamama ogni dove io mi recassi. L'idea del video per marcare il tempo, la mia vita che passa, l'unico souvenir che resta e che dipinge il momento esattamente per quello che era. Al tempo stesso uno stimolo continuo a viaggiare.

Tutto ciò può sembrare fricchettone, lo so, ma giuro che se non altro non farò citazioni da "Into the wild", non vi darò la soddisfazione fino in fondo! 😁

D'altronde ad essere troppo introspettivi...


¡Hasta la próxima!

sabato 1 luglio 2017

Why this blog?

Buongiorno a tutti e benvenuti nel mio umile blog!

Per una veloce bio potete leggere qui a destra, ma la domanda che vi attanaglia è un'altra, lo so. La domanda è: "Perchè questo blog, e soprattutto che cosa è un sikuri?"

La risposta la trovate in alto, nel logo. Quel flauto tipico della musica andina è un sikuri, e nel mio caso è il mio fedele compagno di viaggio quindi vado a presentarvelo.

Il sikuri, detto anche zampoña è composto da due siku sovrapposti. In pratica ci sono due file di canne come quelle qui sotto che unite vanno a formare, appunto, il sikuri.


Un siku si chiama arka mentre l'altro ira. Nella cosmovisione andina, l'ira rappresenta l'uomo e l'arka la donna. Il figlio è l'armonia che nasce dall'unione dei suoni dei due sikus.

E questo ci riporta alla domanda iniziale, perchè questo blog? Beh, perchè musica, viaggi e culture straniere sono una mia passione, una passione che mi va di raccontare. Questo blog è un po' il mio diario di bordo se vogliamo.

Giusto per creare un filo conduttore fra musica, viaggi e culture straniere, posso aggiungere che io (italiano) ho conosciuto il mio maestro di sikuri (peruviano) in Germania e abbiamo suonato insieme sull'Isola di Pasqua. Qui sotto un estratto!




Questa è la storia che voglio raccontare, per chi vuole ascoltare e a c... ops, me la ricordavo meglio la citazione. :)

Chamampi sikuri e stay tuned!