Annus domini MMXIV... aehm, scusate, Italia e Polonia, due paesi cattolici. Mi son fatto prendere la mano.
Dicevo appunto anno 2014 passato d'istanza a Berlino, che non ci si fa un salto in Polonia? È sempre stato un Paese che ti ha incuriosito. Un po' per la sua storia, un po' perchè trovi polacchi dappertutto e spesso diventano tuoi przyjaciel (= amico), un po' perchè minchia, la vodka. Ma sì, andiamoci!
I primi incontri ravvicinati con la Polonia a Dublino, in Erasmus. Mateusz compagno di stanza e Daniel nella stanza accanto. Cracovia la città del primo, Poznan la città del secondo. Eh e allora che città dovrei visitare quindi? Cracovia e Poznan, appunto.
Un Polskibus chiamato desiderio
A Cracovia mi riunisco con Daniel, anche lui venuto per l'occasione e con Mateusz, autodefinitosi in italiano con accento alla SuperMario "polacco pazzo". Mi spiega la storia della Cattedrale, di come i due campanili furono costruiti da fratelli in competizione, per questo un campanile è più alto dell'altro.
Oltre i confini del campanilismo su Rieduchescional Ciannel
Mi racconta anche di come una guardia della torre della Cattedrale suoni una melodia che si interrompe nello stesso momento in cui secoli prima si interruppe la melodia che segnalava l'arrivo dei Tartari, proprio perchè la povera guardia intenta a segnalare il suddetto arrivo con squilli di tromba, fu colpita da una freccia. È una città che brulica di folclore come ne ho conosciute poche.
Altra cosa da dire, a Cracovia credono molto nel Signore, ma c'è anche un altro signore che è omnipresente.
A Cracovia c'è sempre un Wojtyla che ti osserva
Se sbaglio mi corigerete, vai tranquillo Karol che ormai sei italianissimo
Il trionfo dell'italianità, combo micidiale! FELICITAAAA'! ♫
Da lì si va a visitare il Castello di Wavel e si fa tappa dalla Dama con l'ermellino. Poi si fa qualche passeggiata approfittando del bel tempo, perchè le città bisogna sì visitarle, ma anche respirarle un po'. Girovagare senza meta, perdersi.
Duzo słonca
Quello che però mi ha colpito di più è il Quartiere ebraico, qui comincia a sentirsi il peso della triste eredità della Seconda Guerra Mondiale, si avverte nell'aria la tragedia, l'odio, la paura che hanno caratterizzato queste zone.
Stele commemorativa per i 65mila ebrei di Cracovia che persero la vita durante l'invasione tedesca
Questo è il punto di svolta del viaggio, dalle uscite in discoteca (actually not my piece of cake) e i vari shottini di vodka tuttifrutti, si passa alla Polonia che in realtà, mi affascina di più, ovvero quella che convive con lo spettro di ciò che le è stato portato via e che comunque, malgrado i disegni del nazismo (Lebensraum), resiste ed esiste, stoica e senza paura di esibire le sue cicatrici.
Il passaggio alla volta della fabbrica di Schindler
La fabbrica di Schindler è stata per me un'esperienza quasi paranormale, nel senso che si fa fatica a credere a tanta crudeltà messa in atto dai nazisti. Avevo visitato i musei tedeschi sul nazismo, dove però l'argomento, anche un po' per il loro ovvio poco andarne fieri oltre per la forte inclinazione a "catalogare" un po' tutto dei tedeschi, era sempre trattato più da un punto di vista storico e oggettivo.
Bene, in Polonia no. Questo museo racconta di fatti accaduti, ma ciò che qui è oggettivo non è riportato in maniera neutrale, ma enfatizzato, brutalizzato, assolutizzato per risaltarne l'aspetto disumanizzante. Per metterla su un punto di vista visuale, se nei musei tedeschi vedi le statistiche dell'Olocausto, le foto e quant'altro, qui sei dentro il ghetto. Ti hanno messo le mura intorno e TU sei dentro il ghetto. Sui muri le testimonianze di chi ci ha vissuto. Non stai leggendo il catalogo dell'Olocausto, piuttosto ti senti come un topo che si nasconde dal gatto.
Immaginate l'umiliazione di vedere la vostra città tappezzata di bandiere naziste
Soldati nazisti che tagliano la barba ai rabbini
Dentro al ghetto
Proprio su quest'ultima foto vorrei soffermarmi per lasciare qualche testimonianza su questo spazio. Immaginate di camminare dentro al ghetto e di leggere queste testimonianze, con i muri tirati su a forma di lapide, come fecero i nazisti.
"Nell'Aprile del 1941 quando gli ebrei celebravano la Pasqua, una festa in celebrazione dell'esodo dall'Egitto, i muratori hanno cominciato a costruire un muro attorno al ghetto.
I nostri aguzzini hanno tirato su un muro fatto di lapidi. Hanno usato questo simbolo in modo da rendere il ghetto una tomba laddove vivono migliaia di esseri umani discriminati." (dr. Julian Aleksandrowicz)
"Ania ogni tanto riusciva a prendere del latte, formaggio, uova... i prodotti dei quali cominciavamo a dimenticare l'esistenza. Ania non diceva mai come riuscisse a passare dall'altra parte del ghetto, oltre i tedeschi armati e i soldati ebrei e polacchi. Sapevamo che cosa sarebbe successo a quelli che scappavano per smerciare cibarie. Eppure Ania rispondeva: come si possono tirare su i bambini senza nemmeno un bicchiere di latte?" (Miriam Akawia, 13 anni)
"Che contrasto! In alcuni appartamenti del ghetto: le preghiere, i pianti e i lamenti degli orfani... e attraverso il muro, dall'altra parte: la musica, la vodka, le intemperanze senza freni. 'Sarà il nostro turno fra poche ore', pensavano i partecipanti. I nazisti ci trascineranno fuori al miglio Optima. Lasciamo almeno che ci portino fuori storditi dall'alcol, con il senso di avere almeno soddisfatto i nostri istinti di base. Cosa possiamo raggiungere con le nostre mani? Cosa possiamo fare per contrastare questo mare di odio?" (dr. Julian Aleksandrowicz)
"Non era facile dire - scappate dall'evacuazione! E come avresti potuto superare il filo spinato e i poliziotti a guardia? Come avresti potuto fare anche un solo passo in una strada qualsiasi? Una volta notata la fascia al braccio, avresti una pallottola in testa. Lasciare la fascia? Una volta visto quel simbolo bianco scivolare giù dal tuo braccio, ti porterebbero direttamente alla polizia. Anche se ti nascondessi nel più buio dei nascondigli, qualcuno vedrebbe sempre l'ebreo nascondersi e uscirne da... da come? beh, chi? Anche se lasciassi cadere la tua fascia 100 volte, saresti sempre te stesso. Saresti comunque un ebreo, anche senza banda al braccio. La tua ebraicità verrebbe fuori ad ogni tua mossa ansiosa, ad ogni tuo passo incerto, ogni volta che ti pieghi sulla schiena, come se fossi schiacciato dal giogo della schiavitù, della tua prigionia, ogni volta che ti guardi attorno con quello sguardo da animale battuto. Sarebbe evidente dalla tua figura, la tua faccia, i tuoi occhi, tutti marchiati con il timbro del ghetto." (Gusta Dränger, insegnante, combattente della Żydowska Organizacja Bojowa)
Quest'ultima testimonianza, per lucidità e freddezza, è quella che mi scombussola più l'anima.
Non ho visitato Auschwitz anche se in realtà sarebbe stato alla portata quanto a distanza. Un po' per il fatto che ero andato in Polonia a trovare amici, e fare tutto il giro dell'Olocausto non è il modo migliore per goderti la loro compagnia in maniera spensierata; un po' perché certe cose basta saperle nella portata in cui ti sono state raccontate, non c'è bisogno di andare a sbatterci il muso. Forse mi intimorisce pensare che potrebbero anche essere peggiori di come me le immagino.
In Polonia il tema rispetto ad altri paesi è trattato molto più crudelmente, come a voler esibire la cicatrice affinché tutti la possano vedere. Non per vittimismo, non per pietismo, ma per memoria. La memoria di chi non dimentica cosa l'uomo può diventare quando perde la ragione e si tramuta in cacciatore o preda di altri uomini. In ambi i casi non più un uomo, e qui citare Primo Levi è tanto ovvio quanto fondamentale.
È molto difficile parlare del resto del viaggio dopo una così lunga, e doverosa, parentesi sulla storia della Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale, e non comincio nemmeno a parlare di ciò che venne dopo (Russi, aehm, *coff* *coff*). La Polonia ovviamente non è solo questo.
La Polonia è la gente amichevole, le stradine acciottolate di Cracovia, Wisława Szymborska, le chiese dappertutto, i vari gruppi rock quali Dzem, Republika, Kult, i pierogi, la loro lingua difficilissima e per questo intrigantissima... perchè la Polonia è così: impenetrabile e distaccata all'inizio, quanto calda e accogliente quando impara a conoscerti.
E qui qualche ricordo dolce che lega più aspetti qui sopra citati riaffiora. Dopo Cracovia, capitolo Poznan. Il tempo stringe, solo un giorno a disposizione. Si arriva a Poznan e si va subito a bere qualcosa dagli amici di Daniel, d'altronde piwo to moje paliwo dicono i polacchi, ovvero "la birra è il mio carburante".
Avendo qualche amico polacco qui e lì qualche parolina l'ho imparata, a parte il fatto che ho tartassato Daniel chiedendo di tradurmi ogni cosa vedessi in giro che nemmanco un bambino di tre anni col suo babbo. Cena dagli amici di Daniel si diceva, io l'unico straniero, ce ne sono pochi da queste parti. Corpo estraneo al gruppo, la prima domanda non può che essere: "Czy mówi Pan po polsku?" ovvero se parlassi polacco.
Non me lo faccio chiedere due volte.
Risposta: "Tak tak, naturalnie, jablko i gruszka wszystkiego najlepszego..."
Nella fattispecie qualcosa del tipo: "Sì sì, certo, mela e pera, buon compleanno..." e altre belinate random in polacco con accento alla Renzi quando parla inglese a fare massa.
Qui i polacchi presenti non si trattengono e si rotolano a terra dal ridere. Mi offrono birra, cibo (e canne, ma non fumo) come se avessi recitato la Szymborska a memoria su un piede solo.
E così mi sento quando incontro un polacco, cosa statisticamente probabile al 99% in ogni parte del mondo. Ho appena conosciuto una polacca a Xi'An, in Cina. Capito? Sono anche in Cina. Da quel punto di vista ci assomigliano a noi Italiani.
E quando conosco un polacco so già come esordire la conversazione...
"...tak tak, naturalnie, jablko i gruszka wszystkiego najlepszego..."
Chiudo questo post, molto lungo e ciònonostante incompleto, con un po' di buona musica polacca. Alla prossima and stay tuned! Dovicenia!
P.s. Aneddoto extra, sono a Bergamo con mio padre. Un prete ci avvicina e comincia a parlarci, scopro che è polacco. Allora lo saluto con un bel "moze bok pomoci" (forse Dio ci aiuterà). Per la reazione vedere sopra, anche lui a sbellicarsi. The power of languages.
Chamampi sikuri!
Chamampi sikuri!