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lunedì 27 dicembre 2021

Rimettiamoci all'Opera

Carissimi appassionati e carissime appassionate di questo blog, non posso lasciare che l'anno termini senza una degna chiusura, pertanto solo per voi mi sottrarrò ai miei pressantissimi impegni di lavoro e di studio per raccontare uno degli eventi più significativi dell'anno solare 2021.

Il tuo viaggio in Puglia direte voi? No, quello un'altra volta...

Allora Matera! Vabbè, ma ci sono andato contestualmente alla Puglia... le farò insieme, forse...

Il tuo giro a Genova? Eh, ci ho pensato, ma anche per quello dovrete aspettare trepidanti... magari a febbraio che, si sa, è la stagione dell'acquario...

Ho scelto un altro argomento: la (mia) prima alla Scala di Milano.


Biglietti ottenuti sotto soffiata di un capousciere corrotto (cit.). No, in realtà la sorella di una mia amica conosce un tipo che lavora alla Scala e che era in possesso di biglietti omaggio; ed è solo per puro culo che la sorella non potesse andarci quella sera e quindi, posso dirlo: L'elisir d'amore di Gaetano Donizetti aspetta solo me.

Mi ricordo che quando andai a lavorare in Cina parlando un mandarino molto basico, nella mia prima classe di studenti di italiano c'era un ragazzo cinese che aveva scelto un nome italiano molto strano, un tale Nemorino. Nel mio cinese basico provai a dirgli che era un nome bizzarro, anche per sottrarlo a eventuali atti di bullismo una volta giunto nel Belpaese. Lui, nel suo altrettanto basico italiano disse una sola parola: l'opera.

È stato proprio in Cina che ho imparato cosa fosse l'Opera italiana, cosa significasse per il mondo, che patrimonio immenso avessimo a disposizione. Quel bagno d'umiltà fu la miccia che accese il mio desiderio di esplorare questa e quell'aria, questo e quel compositore, questo e quel libretto.

Sempre umilmente posso dire con certezza di conoscere ancora oggi molto poco, ma mi conforta sapere che nella mia vita c'è un universo così grande da esplorare ancora a mia disposizione.

Questi biglietti, per qualche congiunzione astrale, sono arrivati nelle mie mani. Questa non sarà una tappa qualsiasi della mia esplorazione dell'Opera, questa sarà una vera e propria pietra miliare nel tempio indiscusso dell'Opera nel mondo.

E sempre per qualche congiunzione astrale, andrò proprio a vedere L'elisir d'amore di quel Nemorino a me sconosciuto, ma conosciuto fino in Cina.

Furono i miei studenti a cantare molte arie che poi io appresi grazie a loro, malgrado non fossi in grado di cantarle altrettanto bene. 

Una che era particolarmente conosciuta e riconoscibile era "Una furtiva lagrima". Non chiesi mai di quale opera fosse.

Ebbene sì.


Altra coincidenza della serata, che mi scorra una furtiva lagrima nell'ascoltare questa voce che si libra nell'aria e che richiama così tanti ricordi.

Quando mi è stato chiesto di commentare lo spettacolo, ho fatto fatica a trovare un commento adeguato. 

Mi ha affascinato sicuramente l'aria giocosa, l'utilizzo di parole che il volgo ha poi adottato proprio perché l'Opera si aprì anche alle fasce meno abbienti della popolazione ("bricconcella", "scoppole", eccetera), l'esecuzione canora impeccabile degli interpreti, i colori, i costumi, il messaggio dell'opera trascendentale, attuale anche oggi, sulla creduloneria della gente, ma senza la spocchia di oggi.

Insomma, ci vorrebbe un modo di includere tutto questo in un commento che sia efficace e conciso. Sì, ma come?

L'unico modo che ebbi di riassumere tutto ciò, furono due parole pronunciate nel film Amadeus da Salieri al momento della presentazione di Mozart all'Imperatore:

"Diletto straordinario"

Ringrazio di aver lasciato l'Italia per poter vedere cosa rappresenti l'Italia all'estero. Il viaggio non solo ti apre nuove prospettive, ma ti aiuta a scoprire nuovi punti di osservazione per rivisitare ciò che già conosci sotto una nuova luce.

E bene hai fatto, Nemorino, a non ascoltare il mio pessimo consiglio e a tenerti quel nome. 


martedì 28 settembre 2021

Belli in zona

Una pandemia fa, feci l'ultimo viaggio estero in terra incognita. Era dicembre 2019, ed essendo appena tornato dalla Cina e non sospettando minimamente la prossima impossibilità di viaggiare per lunghe distanze, scelsi con mio padre di fare un salto in Svizzera. Dietro l'angolo, eppure non ci ero mai stato.

Ricordo che da piccolo, quando mio padre andava in Svizzera, tornava sempre pieno di cioccolata. Di tutti i tipi, gusti, forme. Essendo passato molto tempo da allora, se la cioccolata non va a Gabriele, Gabriele va alla cioccolata.

Siamo andati prima a Schwyz, che noi traduciamo indecentemente in Svitto. Ma che è?!? Ma vergogniamoci!!! Peggio di Mainz che diventa Magonza, il che pensavo fosse impossibile.

C'è da dire che in Francia Ajaccio si legge asjaxio, quindi i francesi devono vergognarsi molto di più.

Schwyz è bella. Nei dintorni c'è un bellissimo lago e si vedono le montagne innevate, cosa incredibile se si pensa che siamo in Svizzera.





Lo so che state pensando a Heidi perché siete persone tristi e banali. Come me che ho pensato la stessa cosa appena varcato il confine.

Ad ogni modo Schwyz è praticamente dove è stata concepita la Svizzera, infatti i nomi sono molto simili. È preservata anche una copia della costituzione svizzera in un museo che io non potevo esimermi dal visitare.


Ho cercato di autoproclamarmi Imperatore della Svizzera apponendo la mia firma sulla costituzione, ma un vetro appositamente appostato mi ha precluso questa possibilità. Popolo ingegnoso gli svizzeri, non gliela si fa.

La costituzione svizzera, siore e siori

Il giorno successivo siamo andati a Lucerna, dove c'è un bellissimo ponte tutto in legno chiamato Kapellbrücke. Nel passato prese pure fuoco, ma eccolo qui, maestoso e imponente. Perché a Kapellbrücke manco il fuoco lo butta giù, se ne fotte.



E dopo Schwyz anche Lucerna promossa. Tra l'altro fu qui che bevvi la Vivi cola, cosa alquanto esilarante dato che la mia guida turistica, nonché amica che ero venuto apposta a trovare, si chiama proprio Vivi. Ovviamente ne ho bevuta una per l'occasione. Veni vivi bevi.

Il giorno successivo abbiamo salutato Vivi e siamo tornati nel cantone italiano, a Lugano. Dove ho visto una delle cose più belle e insperate.


E mi tornarono alla mente ricordi bellissimi. Che voglia di StraLugano!



E niente, Lugano è molto bella anche lei. Per il lago, per le chiese, per il suo continuo saliscendi. La chiesa più bella è sicuramente quella di Santa Maria degli Angeli, con dei bellissimi affreschi al suo interno (link).




Sorvolo sull'hotel. Anzi no, non avevamo nemmeno la luce in camera.


Penultima tappa, quella che meglio ci definisce: belli in zona, ovvero Bellinzona. E i suoi tre castelli medievali, davvero belli in zona. Mica come noi due.

"Che poi mi guardi in faccia e dici dov'è che vuoi che andiamo con ste facce io e te?" (883)

Che mica posso sempre citare filosofi greci, oh.





E dopo i castelli, mostriamoli un po', sti due belli in zona.



Adesso sapete a cosa devo la mia tracotante bellezza di Adone: è semplice genetica.

Ultima tappa: Locarno. Altro giro, altro lago.





Promossa anche questa, meno il postaccio dove abbiamo mangiato. "Mai andare alla cieca senza il fido tripadvisor", mi dissi. Senza imparare nulla, dato che l'ho rifatto altre volte in seguito con il medesimo risultato. Ne riparleremo.

E come al solito, il mio souvenir è la musica. A questo giro il regista è mio padre, quindi è un prodottino tutto in famiglia. Buona visione!



Nel primo video sul finale un senzatetto si è avvicinato per chiedermi informazioni sul siku, non solo stuzzicando la mia autostima, in quanto ho snocciolato qualche chicca, ma anche aiutandomi a praticare il mio tedesco arrugginito (che è rimasto tale da allora). Gliel'ho anche fatto suonicchiare, era eccitato come un bambino. Wie cool!

E con questa abbiamo finito. Alla prossima e come sempre: chamampi sikuri!


















Scusatemi, non ho resistito! Alla prossima!!! <3

domenica 9 maggio 2021

9 maggio '78

 Nel settembre del 2014 andai in vacanza in Sicilia. Ai tempi lavoravo in Germania e decisi con tutta la famiglia di tornare in quella terra, dove ogni estate, da bambino, andavo al mare.

Andarci da bambino e andarci da adulto sono però due cose differenti, soprattutto quando si va in Sicilia, si ha una diversa consapevolezza della sua storia.

Da tanto tempo infatti, avevo visto il film "I cento passi" di Marco Tullio Giordana. Il film è incentrato sulla storia di Peppino Impastato, nato in una famiglia mafiosa, ma per tutta la vita contro la mafia. Senza altre armi se non quella della sua radio, dove la lingua tagliava come una spada.


Laddove l'omertà, il familismo amorale, la corruzione intellettuale e non, imperversavano, resta ancora oggi difficile pensare che qualcuno potesse armarsi di tanta fantasia per mettere il re a nudo, avendo tutto da perderci e nulla da guadagnarci.

Quindi la differenza con i miei viaggi precedenti sta tutta qui, sole e mare possono decisamente aspettare, c'è qualcosa di più importante sulla strada dall'aeroporto di Palermo alla nostra città di destinazione: Cinisi.

Al mio arrivo, noto tante piastrelle colorate e con temi variegati a terra, solo dopo mi renderò conto di stare facendo i fatidici cento passi.


Quello è infatti il percorso indicato fra l'ex casa di Tano Badalamenti, boss mafioso della città e casa di Peppino, oggi museo in memoria dello stesso e di sua madre Felicia. Il percorso è segnalato con pietre d'inciampo a tema legalità.

E si arriva quindi all'ingresso.


Fra disegni, appunti di giornale e mobili dell'epoca, si arriva infine alla camera di Peppino.


È una stanza come tante. Il significato che assume è però sicuramente speciale, perché è una stanza dove è stata scritta una delle storie più importanti dell'antimafia. C'è dentro un vissuto in quella penombra. Quella luce fioca, filtrata dall'oscurità della stanza, mi ha fatto pensare a ciò che per me, idealizzando, è stato Peppino. Il piccolo siciliano di provincia, incosciente, il povero illuso contro la mostruosità di un fenomeno ben più grande di lui. Eppure, per quanto fosse grande l'ombra del mostro da affrontare, quella luce è filtrata, per rimanere. 

Peppino è stato ucciso dalla mafia il 9 maggio '78. Non ne parlò nessuno sulle tv nazionali perché la sua morte venne oscurata da quella di Aldo Moro, ucciso barbaramente dalle Brigate Rosse.

Se passò sotto silenzio allora, oggi invece si può dire che il ricordo del piccolo siciliano di provincia che sfidò la mafia rimane più che mai vivo. E va mantenuto tale.

Chiedo scusa alcuni miei passaggi possono sembrare retorica, ma l'alternativa è la cronaca asettica o il minuto simbolico di silenzio, il ricordo muto. Proprio lui che muto non è stato mai. Preferisco quindi dire anche io due parole, anche stupide all'occorrenza, per onorare la sua memoria. Grazie Peppino. 

E poi con quel disco di De André direi che qualcosa in comune di cui avremmo potuto parlare ce lo avevamo.


Devo ascoltarmi bene bene Tenco, Baez e The Animals, dei quali conosco solo qualche canzone o hit qua e là. Mo' mi è venuta la curiosità.

Per chi vuole approfondire, non posso esimermi dal consigliare la visione de "I cento passi", dall'ascoltare i suoi interventi a Radio Aut disponibili su Youtube, e dal fare un salto sul sito del Museo Casa Memoria Peppino e Felicia Impastato, in attesa di poterlo fare dal vivo.

È possibile anche fare una donazione, per aiutare il museo mantenere viva la memoria della storia di Peppino e la sua lotta alla malavita: l'arma più grande che abbiamo per sconfiggere quella "montagna di merda" che è la mafia.


Grazie dell'attenzione e alla prossima. Chamampi sikuri!

giovedì 25 marzo 2021

Un umile omaggio al Sommo Poeta #Dantedì

Quest'anno segna il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri, ufficialmente il prossimo 13 settembre. Questo anniversario assume in questa data ancora più importanza, infatti come ogni 25 marzo oggi è Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri.

A mio modo ho pensato di rendergli tributo. Non tanto perché lui ne abbia o meno bisogno, né perché voglia ostentare il mio orgoglio per questa icona nazionale intramontabile, quanto per ragioni molto più spicce, intime, personali.

Io ho un cognome strano ai più, che fin da piccolo, all'appello, gli insegnanti non sapevano come leggere: Dander. Lo sentii negli anni storpiato in più modi dai miei compagni di classe, a volte anche canzonato. Un cognome quindi che mi faceva sentire un po' fuori posto fra i vari Romano, Garavaglia, Coppi e simili. Di origine austriaca (pare sudtirolese), un cognome estraneo e quindi curioso. Italiano e straniero nello stesso momento.

Non fosse altro però, che nessuno possedeva un cognome di tanto solare assonanza con quello del Padre della Lingua Italiana: Dante Alighieri.

Questo cortocircuito mi ha fin da piccolo suscitato curiosità per la figura di Dante, oltre che una ovvia simpatia. Per il solo fatto di esistere e portarsi dietro tanta fama, dava un che di dignità, finanche lustro, al mio cognome che da solo non avrebbe avuto.

Nel tempo ho imparato ad apprezzare il mio cognome, che uso io stesso per giochi di parole in lingue straniere per dilettare amici e conoscenti creandomi alter ego o producendomi in giochi di parole, ma è stato proprio in Cina che questo legame con la figura di Dante si è restaurato e rafforzato.

La Cina è vicina, si dice, ma in realtà i riferimenti culturali comuni da poter usare come insegnante non sono poi moltissimi: Marco Polo? Matteo Ricci? Luciano Pavarotti? Certo non posso tenermi Gabriele, che qui diventa cacofonicamente Gabribols, Gablilili e compagnia cantante. 

Ma certo: Dante Alighieri!

E sia, ecco il mio nome cinese: 但丁, pronunciato Dàndīng. Dante, appunto.

Il rientro in Italia è coinciso con l'inizio della pandemia COVID. Questo ha scombussolato molti dei miei piani, fra i quali il rientro in Cina, dovendo rinunciare a un paio di agganci, ma so di essere in buona compagnia. Per usare termini danteschi, posso reputarmi comunque fortunato in tutto questo potendomi collocare in Purgatorio, laddove per altri è già Inferno.

"Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita", queste parole sono tornate familiari a molti e nel mio caso, ha suscitato una reazione di questo tipo: adesso si tratta di capire come la vogliamo attraversare, questa selva.

Ho quindi fatto qualcosa che avevo posticipato per molto tempo, occupato com'ero a vivere, lavorare, viaggiare: ho letto la Divina Commedia per intero. 

Banalmente devo dire che i canti sull'amore tragico di Paolo e Francesca e sulla superbia di Ulisse sono sicuramente stati quelli che mi hanno colpito di più. Sono versi molto famosi che qui sotto ripropongo per coloro che non dovessero conoscerli.

PAOLO E FRANCESCA

"Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende 

prese costui de la bella persona 

che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona, 

mi prese del costui piacer sì forte, 

che, come vedi, ancor non m’abbandona."

(Inferno: Canto V)

I passaggi che colpiscono maggiormente sono per me "che mi fu tolta, e il modo ancor mi offende" riferendosi alla morte che ha portato via l'amato, in un modo che mai si riuscirà a perdonare e perdonarsi. Inoltre il verso "mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona" dà quel senso di immortalità del sentimento provato.

Tuttavia, a lungo mi ero interrogato su quel celebre "Amor, ch'a nullo amato amar perdona". Un verso che ho sempre percepito più che compreso, come un bel quadro del quale non ti serve capire l'intenzione del pittore per riuscire ad apprezzarlo. 

Forse certe cose è meglio che non vengano mai dette, che rimangano belle così come si avvertono. Un po' come Red in Shawshank Redemption (Le ali della libertà) quando sente quelle due soprano italiane cantare dall'altoparlante del carcere. Non chiedetemi chi fossero o cosa cantassero, non lo so nemmeno io, per lo stesso motivo.

Questa volta però avrò tempo e modo di soffermarmi, quindi decido di farlo, di esaminare la semantica di questo verso. E devo dire che in seguito ad una più attenta analisi, si comprende meglio perché Dante, dopo questo colloquio con Francesca, cada come corpo morto cade, svenga.

"L'amore, che non consente a nessuno che sia amato di non ricambiare"

Non spiegherò il significato nel dettaglio, anche perché penso che con un piccolo sforzo ci si possa arrivare da soli. A voi la scelta, se limitarvi all'originale in volgare, senza capirne le parole appieno ma apprezzandone la melodia, o se invece analizzarne il significato.


ULISSE

«Quando mi diparti’ da Circe, che sottrasse 

me più d’un anno là presso a Gaeta, 

prima che sì Enea la nomasse,                                    


né dolcezza di figlio, né la pieta 

del vecchio padre, né ’l debito amore 

lo qual dovea Penelopé far lieta,                                    


vincer potero dentro a me l’ardore 

ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, 

e de li vizi umani e del valore;                                        


ma misi me per l’alto mare aperto 

sol con un legno e con quella compagna 

picciola da la qual non fui diserto.                                


L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, 

fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, 

e l’altre che quel mare intorno bagna.                         


Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi 

quando venimmo a quella foce stretta 

dov’Ercule segnò li suoi riguardi,                                  


acciò che l’uom più oltre non si metta: 

da la man destra mi lasciai Sibilia, 

da l’altra già m’avea lasciata Setta.                              


"O frati", dissi "che per cento milia 

perigli siete giunti a l’occidente, 

a questa tanto picciola vigilia                                         


d’i nostri sensi ch’è del rimanente, 

non vogliate negar l’esperienza, 

di retro al sol, del mondo sanza gente.

                        

Considerate la vostra semenza: 

fatti non foste a viver come bruti, 

ma per seguir virtute e canoscenza".   


(Inferno: Canto XXVI)



Il finale di quanto detto da Ulisse in questi versi è celebre e sulla bocca di tutti ancora oggi. Quello che però manca è tutto il contesto del discorso di Ulisse.

Nella mia vita ho viaggiato tanto, e tanto vorrei viaggiare ancora, per questo queste parole, dalla prima all'ultima mi mettono di fronte a uno specchio, dove vedo le mie speranze e le mie paure nello stesso istante.

Le paure del lungo viaggio, del lasciare i propri affetti, del senso di egoismo che si avverte o dell'irriconoscenza verso gli altri che si prova, sono riassunti nei versi riguardanti la famiglia, ma subito dopo quella voce interna perde forza di fronte all'ambizione, al desiderio di conoscenza, suggellato sul finale come motivo in sé di esistere. 

Il conflitto fra la staticità, la stabilità degli affetti, e l'abbracciare la vita, vivere i propri sogni. Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare.

È un tema che sento presente, e sono sicuro di essere in buona compagnia anche in questo caso. Ci si sente un po' peccatori, ma sebbene macchiati di quel peccato originale: vivi. Vivi come ci si può sentire solo se si inseguono virtù e conoscenza.

Su questo tema, consiglio la lettura di Antologia di Spoon River, testo poetico ad opera di Edgard Lee Masters che ha ispirato anche Fabrizio De André nell'album "Non al denaro, non all'amore, né al cielo". 

Ambientato in un cimitero dove i morti raccontano la loro vita con la poesia, una per ogni tomba, una per ogni vita. Si sa, da morti, non c'è bisogno di mentire, di scamparla, di vendersi come qualcosa che non si è. Il risultato è ad esempio questa poesia, intitolata George Gray, il nome di uno dei defunti del cimitero immaginario di Spoon River.

"Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme."



Un ultimo verso che mi piace ricordare è il V del Purgatorio, dove Pia de' Tolomei, uccisa dal marito che voleva risposarsi con un'altra donna, si rivolge a Dante, unico corpo vivo in un luogo di sole anime, e gli chiede:


«Deh, quando tu sarai tornato al mondo, 

e riposato de la lunga via», 

seguitò ‘l terzo spirito al secondo,       


«ricorditi di me, che son la Pia

Siena mi fé, disfecemi Maremma: 

salsi colui che ‘nnanellata pria 


disposando m’avea con la sua gemma»



Le anime del Purgatorio possono accedere più presto al Paradiso qualora qualcuno le ricordi sulla Terra e preghi per loro. Mi piace questo collegamento fra il defunto e chi vive ancora, e di come lui non sia davvero morto finché ci sarà qualcuno a tenerne vivo il ricordo. Il "ricorditi di me, che son la Pia" rieccheggia candido e soave, tanto da non essere una richiesta, malgrado l'imperativo, ma una preghiera esso stesso, una cortesia, un gesto di gentilezza anelato. Tanto cortese dal riuscire nel suo intento di non poter essere più dimenticato.

Questo è ciò che suscita nel lettore la Divina Commedia: il mettersi in viaggio nel profondo dell'animo umano, il puntare il dito verso qualcuno che poi scopri essere te stesso, l'empatia verso persone tanto diverse e lontane da noi eppure così simili nelle esperienze, negli errori, nei dolori, nelle speranze.

Un'opera grandiosa concepita da un uomo che non era armato dell'immediata reperibilità di informazioni che abbiamo noi oggi, eppure riuscì a mettere insieme storie, personaggi, miti, in un universo coerente da lui creato e a farci empatizzare con le loro vicissitudini, in cento canti tutti in rima.

C'è quindi molto da festeggiare oggi, nel ricordare Durante Alighieri e il grande regalo che ci ha lasciato, bello e inesauribile. Grazie, Dante.

Spero di farvi anche io, a modo mio, un regalo nel mettervi a disposizione alcuni strumenti che mi hanno permesso di apprezzare appieno la Divina Commedia.

WEEBLY - LA DIVINA COMMEDIA: https://divinacommedia.weebly.com/

Testo per intero in volgare e in italiano corrente. Interpretazione dei testi e note. Approfondimenti sui personaggi, i luoghi e gli eventi descritti nella Commedia.

YOUTUBE - LA DIVINA COMMEDIA IN HD: https://www.youtube.com/user/LaDivinaCommediaDVD

Tutto l'universo della Commedia in formato video. Una pillola per ogni canto dell'Inferno, più pillole comprensive di più canti per il Purgatorio e il Paradiso. Per quelli che non hanno tempo di leggersi tutta l'opera e vogliono gustarsi la Commedia in modo più immediato. Qui sotto i link alle playlist.

Inferno
Purgatorio
Paradiso

YOUTUBE - ENCICLOPEDIA INFINITA: https://www.youtube.com/channel/UC-APvpafM3OpUoMx0cetFCQ

Canale della Società Dante Alighieri con tantissimi video divulgativi riguardanti l'arte e la storia dell'Italia. Moltissimi video su Dante. Consiglio la playlist del professor Onorati, che racconta Dante con passione e offrendo interessanti chiavi di lettura che altrimenti, almeno a me, sarebbero sfuggite.

Curiosità su Dante Alighieri - Prof. Aldo Onorati

YOUTUBE - INFERNVM (CLAVER GOLD & MURUBUTU): https://www.youtube.com/playlist?list=PLXI1mcunnpYO6oss1s3jBFrXGBKFkhVkN

Infine un consiglio musicale, un concept album dal titolo di per sé esplicativo. Per gli amanti della musica rap di qualità.

La mia canzone preferita dell'album è, ovviamente, Paolo e Francesca. Ed è proprio con questo pezzo che si conclude questo viaggio nella Divina Commedia. 


Per il carattere personale che quest'opera e la figura di Dante rappresentano per me, nel mio piccolo, oltre a questo post, lascio una cover proprio della canzone Paolo e Francesca. Inizialmente concepita come regalo di compleanno per un altro mio amico appassionato di Dante: Marco. Rispolverata e condivisa con chiunque capiti da queste parti in questa speciale occasione.

Grazie per l'attenzione, alla prossima e... chamampi sikuri!



sabato 9 gennaio 2021

Cronache dal Myanmar: giorno #5 e #6

Come ci sono arrivato a questo stato di estasi?

La risposta è in questo lungo post, che riprende il mio viaggio in Myanmar di due anni fa. È il momento di riprendere il racconto, ma... dove eravamo rimasti?

Aspettate... vado a rileggere gli episodi precedenti.

Cronache dal Myanmar: giorno #1
Cronache dal Myanmar: giorno #2
Cronache dal Myanmar: giorni #3 e #4

Ah già, il Monte Popa... il grande irreprensibile Monte Popa! Ci sono, riprendiamo con il racconto.

Il giorno 5 è quello del trasferimento. 9 ore di bus per arrivare al Lago Inle, o meglio, Nyaungshwe, cittadina della quale a tutt'oggi non so pronunciare il nome. 

Tempaccio orribile, curve su curve, ginocchia in gola (se non ho busto e culo non è colpa di nessuno), carichiamo inspiegabilmente su sto furgoncino sacchi e ancora altri sacchi di tamarindo, manca solo Mastrota con il set di pentole, facciamo una sosta dove pago milioni di dollari per un pezzo di carne crudo in acqua.

...ma in tutto questo i paesaggi sono belli.

Arrivo, sfuggo all'assalto dei tassisti che mi vogliono far pagare per 100 metri, ricarico il cellulare, arrivo in hotel. MI SPIAGGIO E NON VOGLIO SENTIRE UNA PAROLA FINO A DOMANI, CAPITO?

Ah in tutto questo per entrare in città, facente parte della zona adibita al turismo, sono 15000 kyat. 15000 mila kyat??!? CAPITO?!??!!? Q-U-I-N-D-I-C-I-M-I-L-A.

No beh che poi sono tipo 11 dollari.

Il giorno 6 il programma prevede Kakku (tutta salute) e le grotte di Pindaya. Mi prenotano un fedele autista che mi scorrazzerà amabilmente fra sentieri e tornanti di campagna, cosa che adoro essendo io un idrante alla prima curva. Il tutto per 100000 kyat. Sì. che poi sono tipo 75 dollari.

Il tempo non è dei migliori ma Kakku è molto godibile. Una bella distesa sterminata di pagode immersa nel verde.


E proprio perché è godibile me la giro e me la rigiro, esploro, anche quelle zone meno battute.



Ed è proprio lì che, senza preavviso, così de botto, senza senso...

...ZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZ! *MI DO UNO SCHIAFFO MORTALE AL COLLO DA SOLO*

Mi sento come Forrest Gump in Vietnam quando venne "morso" nel posteriore, srotolo la mano dal cappuccio della felpa e ci trovo una bella vespa che potrebbe essere un motorino quanto a dimensioni, non fosse altro che siamo parlando dell'insetto.

La vespa è tramortitissima, quindi la butto via (animalisti sucate). Il problema è che il mio collo sta gonfiandosi tipo pallone aerostatico.

Un po' lo choc, un po' l'irripetibilità della situazione, un po' il sito ancora da visitare, rimango a girare ancora una decina di minuti prima di realizzare che forse dovrei fare qualcosa per il mio collo, o anche solo per evitare altri tipi di choc, tipo quello anafilattico.

Vado in biglietteria, dove parlicchiano inglese e fanno spallucce. Mi invitano a metterci sopra dell'aglio. Sì, bello tutto, ma forse ci va qualcosa di più. Spiegano la situazione al mio autista, che qui si tramuta in compagno di avventura.

Disorientato, ritrova il senso dell'orientamento per portarmi in un ambulatorio. 

Quando arrivo, entro nella sala principale. Tutte donne a piedi nudi con figli in braccio. Nello stesso medesimo istante tutti i loro occhi sono puntati su di me.

Arriva un'infermiera, il mio autista dice una parola. L'infermiera la ripete sotto forma di domanda. Lui la ripete con tono confermativo.

Tipo così:

Autista: နကျယ်ကောင်
Infermiera: နကျယ်ကောင် ?!?!?
Autista: နကျယ်ကောင် !!!!

Dove နကျယ်ကောင် potrebbe significare "vespa", ma anche "turista coglione" per quanto ne so. Fatto sta che tutte le donne gravide o con figli o gravide con figli che fino a lì mi fissavano incuriosite, tutte, nessuna esclusa, nello stesso istante cominciano a ridere.

Ridono fra di loro, poi mi guardano e tornano a ridere.

Eh vabbè, che devo fa? Rido anche io. D'altronde la risata è contagiosa!

Curioso come questi momenti si rivelino quelli più preziosi e indimenticabili di un viaggio, ma lo sono davvero. Io turista occidentale deriso in un ambulatorio da donne birmane dopo esser stato punto da una vespa. Nel 2001, quando facevo le scuole medie, avrei mai pensato un giorno di finire in uno scenario del genere? No, pensavo roba banale tipo diventare un calciatore, o un cantante, o di avere figli e una famiglia, un lavoro fisso. Ma quanto eri banale, Gabbrié? Niente sarebbe stato più epico di questo. Niente ti dico!

Che fantaaaaasticahhhhh storiahhh la vitaaahhhh... (cit.)

L'infermiera mi fa accomodare in una saletta, mi scruta, mi dà delle pilloline rosa che penso fossero appunto antistaminici, mi lascia andare. Quelle pilloline, le conservo ancora gelosamente.

Pillola ros(s)a o pillola blu?

Momento riflessione: quella signora me la immagino a raccontare la sua giornata al marito, di sto turista minchione punto dalla vespa. Mi provoca davvero un sorriso pensare di essere stato un divertente argomento di discussione per tutta quella gente. È fantastico come la vita intrecci i nostri destini per i motivi più disparati.

E visto che la risata è contagiosa, ma anche lo sbadiglio, una volta in macchina, nel viaggio per Tongyi mi addormento. Tre volte. Cioè, mi addormento, becchiamo un tornante, mi sveglio, mi addormento... in loop.

A Tongyi c'è pochino, una pagodina, son qui per vedere la ciccia di questo posto, ovvero le Grotte di Pindaya.

3000 kyat per l'entrata, 500 per fare foto.


Sì, perché ne varrà la pena.

L'entrata presagisce all'atmosfera che si incontrerà in questo sito. La pace. L'armonia. Il ritrovarsi come bambini a meravigliarsi di qualcosa di nuovo, inspiegabilmente bello, mai visto prima.

Vi porto a fare un giro. Seguitemi.





Il mio posto preferito è questa grotta minuscola, dove bisogna letteralmente strisciare per entrare. In genere mi definirei claustrofobico, ma qui gli spazi stretti non si avvertono davvero, perché ci sei solo tu, la luce e tutti questi Buddha che ti sorridono.



E quindi torniamo alla domanda iniziale, come ci sono arrivato a quello stato di estasi?

Penso ormai di conoscere quali sono i luoghi che mi affascinano di più. il Tempio di Bayon ad Angkor Wat, Rano Raraku all'Isola di Pasqua e ora le Grotte di Pindaya, cosa hanno tutte in comune?

Visi scolpiti per l'eternità immersi nella natura. L'uomo e la natura che si fondono, si uniscono, non si sfruttano, non si distruggono. Coesistono in armonia. Un'armonia che non puoi non percepire. Un'armonia alla quale in quel momento, con il semplice silenzio e la contemplazione, sei per tua natura destinato a partecipare.