Quest'anno segna il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri, ufficialmente il prossimo 13 settembre. Questo anniversario assume in questa data ancora più importanza, infatti come ogni 25 marzo oggi è Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri.
A mio modo ho pensato di rendergli tributo. Non tanto perché lui ne abbia o meno bisogno, né perché voglia ostentare il mio orgoglio per questa icona nazionale intramontabile, quanto per ragioni molto più spicce, intime, personali.
Io ho un cognome strano ai più, che fin da piccolo, all'appello, gli insegnanti non sapevano come leggere: Dander. Lo sentii negli anni storpiato in più modi dai miei compagni di classe, a volte anche canzonato. Un cognome quindi che mi faceva sentire un po' fuori posto fra i vari Romano, Garavaglia, Coppi e simili. Di origine austriaca (pare sudtirolese), un cognome estraneo e quindi curioso. Italiano e straniero nello stesso momento.
Non fosse altro però, che nessuno possedeva un cognome di tanto solare assonanza con quello del Padre della Lingua Italiana: Dante Alighieri.
Questo cortocircuito mi ha fin da piccolo suscitato curiosità per la figura di Dante, oltre che una ovvia simpatia. Per il solo fatto di esistere e portarsi dietro tanta fama, dava un che di dignità, finanche lustro, al mio cognome che da solo non avrebbe avuto.
Nel tempo ho imparato ad apprezzare il mio cognome, che uso io stesso per giochi di parole in lingue straniere per dilettare amici e conoscenti creandomi alter ego o producendomi in giochi di parole, ma è stato proprio in Cina che questo legame con la figura di Dante si è restaurato e rafforzato.
La Cina è vicina, si dice, ma in realtà i riferimenti culturali comuni da poter usare come insegnante non sono poi moltissimi: Marco Polo? Matteo Ricci? Luciano Pavarotti? Certo non posso tenermi Gabriele, che qui diventa cacofonicamente Gabribols, Gablilili e compagnia cantante.
Ma certo: Dante Alighieri!
E sia, ecco il mio nome cinese: 但丁, pronunciato Dàndīng. Dante, appunto.
Il rientro in Italia è coinciso con l'inizio della pandemia COVID. Questo ha scombussolato molti dei miei piani, fra i quali il rientro in Cina, dovendo rinunciare a un paio di agganci, ma so di essere in buona compagnia. Per usare termini danteschi, posso reputarmi comunque fortunato in tutto questo potendomi collocare in Purgatorio, laddove per altri è già Inferno.
"Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita", queste parole sono tornate familiari a molti e nel mio caso, ha suscitato una reazione di questo tipo: adesso si tratta di capire come la vogliamo attraversare, questa selva.
Ho quindi fatto qualcosa che avevo posticipato per molto tempo, occupato com'ero a vivere, lavorare, viaggiare: ho letto la Divina Commedia per intero.
Banalmente devo dire che i canti sull'amore tragico di Paolo e Francesca e sulla superbia di Ulisse sono sicuramente stati quelli che mi hanno colpito di più. Sono versi molto famosi che qui sotto ripropongo per coloro che non dovessero conoscerli.
PAOLO E FRANCESCA
"Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona."
(Inferno: Canto V)
I passaggi che colpiscono maggiormente sono per me "che mi fu tolta, e il modo ancor mi offende" riferendosi alla morte che ha portato via l'amato, in un modo che mai si riuscirà a perdonare e perdonarsi. Inoltre il verso "mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona" dà quel senso di immortalità del sentimento provato.
Tuttavia, a lungo mi ero interrogato su quel celebre "Amor, ch'a nullo amato amar perdona". Un verso che ho sempre percepito più che compreso, come un bel quadro del quale non ti serve capire l'intenzione del pittore per riuscire ad apprezzarlo.
Forse certe cose è meglio che non vengano mai dette, che rimangano belle così come si avvertono. Un po' come Red in Shawshank Redemption (Le ali della libertà) quando sente quelle due soprano italiane cantare dall'altoparlante del carcere. Non chiedetemi chi fossero o cosa cantassero, non lo so nemmeno io, per lo stesso motivo.
Questa volta però avrò tempo e modo di soffermarmi, quindi decido di farlo, di esaminare la semantica di questo verso. E devo dire che in seguito ad una più attenta analisi, si comprende meglio perché Dante, dopo questo colloquio con Francesca, cada come corpo morto cade, svenga.
"L'amore, che non consente a nessuno che sia amato di non ricambiare"
Non spiegherò il significato nel dettaglio, anche perché penso che con un piccolo sforzo ci si possa arrivare da soli. A voi la scelta, se limitarvi all'originale in volgare, senza capirne le parole appieno ma apprezzandone la melodia, o se invece analizzarne il significato.
ULISSE
«Quando mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi,
acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.
"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
Il finale di quanto detto da Ulisse in questi versi è celebre e sulla bocca di tutti ancora oggi. Quello che però manca è tutto il contesto del discorso di Ulisse.
Nella mia vita ho viaggiato tanto, e tanto vorrei viaggiare ancora, per questo queste parole, dalla prima all'ultima mi mettono di fronte a uno specchio, dove vedo le mie speranze e le mie paure nello stesso istante.
Le paure del lungo viaggio, del lasciare i propri affetti, del senso di egoismo che si avverte o dell'irriconoscenza verso gli altri che si prova, sono riassunti nei versi riguardanti la famiglia, ma subito dopo quella voce interna perde forza di fronte all'ambizione, al desiderio di conoscenza, suggellato sul finale come motivo in sé di esistere.
Il conflitto fra la staticità, la stabilità degli affetti, e l'abbracciare la vita, vivere i propri sogni. Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare.
È un tema che sento presente, e sono sicuro di essere in buona compagnia anche in questo caso. Ci si sente un po' peccatori, ma sebbene macchiati di quel peccato originale: vivi. Vivi come ci si può sentire solo se si inseguono virtù e conoscenza.
Su questo tema, consiglio la lettura di Antologia di Spoon River, testo poetico ad opera di Edgard Lee Masters che ha ispirato anche Fabrizio De André nell'album "Non al denaro, non all'amore, né al cielo".
Ambientato in un cimitero dove i morti raccontano la loro vita con la poesia, una per ogni tomba, una per ogni vita. Si sa, da morti, non c'è bisogno di mentire, di scamparla, di vendersi come qualcosa che non si è. Il risultato è ad esempio questa poesia, intitolata George Gray, il nome di uno dei defunti del cimitero immaginario di Spoon River.
"Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme."
Un ultimo verso che mi piace ricordare è il V del Purgatorio, dove Pia de' Tolomei, uccisa dal marito che voleva risposarsi con un'altra donna, si rivolge a Dante, unico corpo vivo in un luogo di sole anime, e gli chiede:
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via»,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,
«ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma»
Le anime del Purgatorio possono accedere più presto al Paradiso qualora qualcuno le ricordi sulla Terra e preghi per loro. Mi piace questo collegamento fra il defunto e chi vive ancora, e di come lui non sia davvero morto finché ci sarà qualcuno a tenerne vivo il ricordo. Il "ricorditi di me, che son la Pia" rieccheggia candido e soave, tanto da non essere una richiesta, malgrado l'imperativo, ma una preghiera esso stesso, una cortesia, un gesto di gentilezza anelato. Tanto cortese dal riuscire nel suo intento di non poter essere più dimenticato.
Questo è ciò che suscita nel lettore la Divina Commedia: il mettersi in viaggio nel profondo dell'animo umano, il puntare il dito verso qualcuno che poi scopri essere te stesso, l'empatia verso persone tanto diverse e lontane da noi eppure così simili nelle esperienze, negli errori, nei dolori, nelle speranze.
Un'opera grandiosa concepita da un uomo che non era armato dell'immediata reperibilità di informazioni che abbiamo noi oggi, eppure riuscì a mettere insieme storie, personaggi, miti, in un universo coerente da lui creato e a farci empatizzare con le loro vicissitudini, in cento canti tutti in rima.
C'è quindi molto da festeggiare oggi, nel ricordare Durante Alighieri e il grande regalo che ci ha lasciato, bello e inesauribile. Grazie, Dante.
Spero di farvi anche io, a modo mio, un regalo nel mettervi a disposizione alcuni strumenti che mi hanno permesso di apprezzare appieno la Divina Commedia.
WEEBLY - LA DIVINA COMMEDIA: https://divinacommedia.weebly.com/
Testo per intero in volgare e in italiano corrente. Interpretazione dei testi e note. Approfondimenti sui personaggi, i luoghi e gli eventi descritti nella Commedia.
YOUTUBE - LA DIVINA COMMEDIA IN HD: https://www.youtube.com/user/LaDivinaCommediaDVD
Tutto l'universo della Commedia in formato video. Una pillola per ogni canto dell'Inferno, più pillole comprensive di più canti per il Purgatorio e il Paradiso. Per quelli che non hanno tempo di leggersi tutta l'opera e vogliono gustarsi la Commedia in modo più immediato. Qui sotto i link alle playlist.
YOUTUBE - ENCICLOPEDIA INFINITA: https://www.youtube.com/channel/UC-APvpafM3OpUoMx0cetFCQ
Canale della Società Dante Alighieri con tantissimi video divulgativi riguardanti l'arte e la storia dell'Italia. Moltissimi video su Dante. Consiglio la playlist del professor Onorati, che racconta Dante con passione e offrendo interessanti chiavi di lettura che altrimenti, almeno a me, sarebbero sfuggite.
Curiosità su Dante Alighieri - Prof. Aldo Onorati
YOUTUBE - INFERNVM (CLAVER GOLD & MURUBUTU): https://www.youtube.com/playlist?list=PLXI1mcunnpYO6oss1s3jBFrXGBKFkhVkN
Infine un consiglio musicale, un concept album dal titolo di per sé esplicativo. Per gli amanti della musica rap di qualità.
La mia canzone preferita dell'album è, ovviamente, Paolo e Francesca. Ed è proprio con questo pezzo che si conclude questo viaggio nella Divina Commedia.
Per il carattere personale che quest'opera e la figura di Dante rappresentano per me, nel mio piccolo, oltre a questo post, lascio una cover proprio della canzone Paolo e Francesca. Inizialmente concepita come regalo di compleanno per un altro mio amico appassionato di Dante: Marco. Rispolverata e condivisa con chiunque capiti da queste parti in questa speciale occasione.
Grazie per l'attenzione, alla prossima e... chamampi sikuri!